Pensioni, potrebbe cambiare tutto: una sentenza che parla chiaro

Pensioni, la sentenza di un tribunale potrebbe modificare una delle norme più discusse dell’intero sistema. Vediamo di che cosa si tratta.

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Sentenza che cambia una norma discussa sulla pensione (codiciateco.it)

A volte dove non arriva direttamente il legislatore, intervengono delle sentenze di tribunali che in qualche modo modificano lo stato delle cose. Uno dei settori più interessati da queste dinamiche è quello previdenziale, con sentenze che cambiano l’applicazione di determinate norme molto discusse.

Esemplare la questione che coinvolge gli anticipi pensionistici noti come quota 100, quota 102 e quota 103. Tra le regole di queste misure c’è l’impossibilità, per chi vi accede, di continuare a lavorare fino al compimento dei 67 anni di età (età anagrafica per la pensione di vecchiaia), fatta eccezione per le prestazioni di lavoro autonomo occasionale nella soglia di 5mila euro lordi annui.

Pensioni, sentenza che modifica l’applicazione della norma

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Pensione anticipata, le norme (codiciateco.it)

Il mancato rispetto di questo aspetto particolare comporta la restituzione di quanto percepito di pensione. L’applicazione letterale di questa regola ha fatto molto discutere negli anni. Infatti l’INPS non ha distinto le violazioni fatte in buona fede, con guadagni irrisori, da quelle evidentemente effettuate con dolo. Sono note le vicende di pensionati costretti a restituire all’INPS migliaia di euro, anche a fronte di guadagni di poche decine di euro.

Un episodio del genere qualche tempo fa è accaduto a un pensionato vicentino chiamato a restituire circa 24mila euro per una giornata di lavoro, regolarmente contrattualizzato, come comparsa per una trasmissione televisiva. Il compenso di soli 78 euro non ha impedito all’INPS di applicare la sanzione prevista dalla legge, chiedendo la restituzione di quanto versato pari a 24mila euro.

Un lavoro fatto in buona fede con un guadagno minimo, non paragonabile ai 5mila euro annui di una prestazione occasionale, ma che comunque ha trovato la rigida reazione dell’Istituto di previdenza sociale. Ma una sentenza del Tribunale della città veneta ha ribaltato la situazione. Il ricorso presentato dai legali del pensionato si è opposto alla richiesta di restituzione.

Per la parte ricorrente il lavoro svolto dal pensionato non può essere considerato un’attività subordinata in senso stretto. Quindi non idoneo a trasgredire al divieto di cumulo di pensione e reddito da lavoro dipendente. Il tribunale ha ritenuto fondato il ricorso del pensionato.  Ha considerato nella forma il lavoro svolto come subordinato, ma con un importo così ridotto, da essere compatibile con la norma di quota 100 (e anche di quota 102 e quota 103) che vieta appunto il cumulo.

Si tratta quindi di un’attività che ha un carattere sostanzialmente distinto dalla classica formula del rapporto di lavoro subordinato, con connotazioni di specialità. Questa sentenza potrebbe fare giurisprudenza, agendo in tutti quei casi in cui l’INPS, con estrema rigidità, interpreta severamente la legge contro pensionati che non hanno certo commesso dolo con due o tre giorni di lavoro pagati poche decine di euro.

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