L’assegno di inclusione è compatibile con il lavoro, ci sono però ovviamente dei limiti di reddito da rispettare: ecco quali sono i paletti e come funziona l’iter
Nell’ambito delle politiche di sostegno sociale il 2024 ha visto l’esordio, oggi già normalizzato dai più, del nuovo assegno di inclusione si configura che è andato a sostituire direttamente e ufficialmente il vecchio Reddito di Cittadinanza. Si tratta dunque di uno strumento fondamentale per garantire un sostegno economico adeguato a coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità economica e sociale, con l’obiettivo, al nuovo passaggio, di restringere il cerchio e assicurarlo soltanto a chi ne ha davvero bisogno e senza i migliaia di furbetti individuati di volta in volta in questi anni.
Questa forma di assistenza, introdotta con l’obiettivo di contrastare la povertà e promuovere l’inclusione sociale, è dunque destinata a famiglie e individui che si trovano in situazioni di disagio economico, fornendo loro un contributo finanziario mensile per aiutarli a soddisfare le proprie necessità di base, come cibo, alloggio, salute e istruzione. Questo strumento è progettato per garantire un reddito minimo vitale e per evitare situazioni di estrema povertà e esclusione sociale ed è mirato ai nuclei dove ci sono minori, disabili o anziani in difficoltà economica.
Assegno di inclusione e lavoro, il paletto da rispettare
Ma al netto di quanto indicato, si può ottenere tale sostegno pur lavorando a cifre minime? La risposta è positiva ma bisogna appunto considerare un limite da non sforare. E questo precisamente corrisponde a un massimo di 3.000 euro lordi all’anno. Questo significa che i membri del nucleo familiare possono intraprendere un’attività a chiamata o partecipare a programmi di politiche attive del lavoro con compensi. Tuttavia è fondamentale comunicare all’INPS l’avvio di qualsiasi impegno lavorativo, in modo che gli adeguati ricalcoli possano essere effettuati per determinare il nuovo importo del beneficio.
Se un qualsiasi membro della famiglia inizia un’attività lavorativa il reddito aggiuntivo non influisce sul calcolo del beneficio, almeno finché non si superano i 3.000 euro lordi all’anno per l’intero nucleo familiare. Oltre questa soglia, invece, il reddito generato da un lavoro continuativo impatterà sul sussidio ricevuto fino a un decadimento totale nel caso in cui si superino i requisiti di partenza per avere accesso all’aiuto. Avvisare l’Istituto nazionale della previdenza sociale tuttavia è fondamentale: il mancato rispetto comporterebbe infatti la perdita del beneficio, con decadenza dopo tre mesi in caso di inadempienza. Se si avvia una propria attività bisognerà avvisare l’INPS entro il giorno precedente all’apertura e anche in questo caso resta il limite di 3.000 euro lordi in un anno.